Imposta di soggiorno

 

Che cos’è l’imposta di soggiorno?

Istituita con D. Lgs. n. 23 del 14/03/2011, l’imposta di soggiorno è applicabile – con tariffe che arrivano a 5€/notte in comuni come Bologna, Firenze, Milano, Torino, Siena, Perugia e Napoli, o addirittura a 7€/notte a Roma -  nei comuni capoluogo di provincia, nelle unioni di comuni e nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte. In alternativa, nelle isole può essere applicata un’imposta di sbarco, pagabile una tantum al momento dell’arrivo dal continente.
In base alla norma, l’imposta risulta applicabile a tutti i comuni della Valle D’Aosta, con un’unica eccezione (un comune nel quale non sono presenti strutture ricettive di alcun genere); è poi applicabile al 97,9% dei comuni delle Marche, al 92,3% del Veneto, all’88,8% dell’Emilia Romagna, all’87,3% della Sardegna, all’80,3% della Sicilia e al 75% dell’Umbria. Le regioni che hanno più limitazioni nell’applicazione dell’imposta sono la Lombardia (22%), la Campania (18,7%), la Basilicata (16,8%) e il Friuli Venezia Giulia (6%).



 

 

 

 

Diffusione ed applicazione

Una manna per le amministrazioni locali, che lottano quotidianamente per la sopravvivenza finanziaria, l’imposta di soggiorno o di sbarco è stata applicata fin dal 2012 in 377 comuni (con massima diffusione in Valle d’Aosta, Piemonte e Toscana), per poi diffondersi rapidamente in buona parte delle località turistiche e dei capoluoghi di provincia, con tariffe e criteri di applicazione diversi. Secondo una rilevazione effettuata nell’agosto 2014, l’applicazione dell’imposta è stata approvata ed è in vigore in 649 comuni, ben 149 in più rispetto al dicembre 2013 (+30% in 8 mesi) e genera entrate complessive per circa 382 milioni di € (+32,9% rispetto al 2013).
Nonostante le proteste di alcuni operatori del settore, l’applicazione dell’imposta è ormai una prassi sempre più comunemente accettata, con tariffe che sono cresciute nel 2014, anche fino ai massimi consentiti dalla legge. Gli albergatori e i tour operator, in buona parte contrari a questa pratica (perché ritenuta un disincentivo al turismo), hanno dovuto sobbarcarsi anche l’onere di riscuotere le tariffe imposte dai comuni, diventando così – loro malgrado – “gabellieri de facto” di enti pubblici sempre più esosi.

 

 



Per quanto riguarda l’applicazione dell’imposta e le tariffe, da una nostra ricerca in rete è emerso un panorama molto eterogeneo sotto diversi punti di vista:
1. tassare o non tassare: mentre nelle zone turistiche più “popolari”, come le città d’arte e la costa romagnola, si diffonde la gabella, nelle zone più esclusive (ad es. Portofino, Alassio, San Remo e Santa Margherita Ligure) l’imposta viene a mala pena presa in considerazione e nelle piccole isole più amate dai VIP si applica la versione “imposta di sbarco”, grazie alla quale il divo della TV che trascorre un mese al mare paga esattamente quanto l’operaio che porta la moglie a passare un breve weekend al mare

2. la comunicazione: molti comuni nei quali è in vigore l’imposta di soggiorno (o quella di sbarco) non ne riportano informazioni chiare sul proprio sito web, né in italiano né – tanto meno – in lingua straniera; a meno che non sia l’hotel o il tour operator a fornire adeguate informazioni, spesso il turista si trova sul conto questa sgradevole sorpresa a vacanza iniziata o finita.

3. le tariffe: esclusa Roma (soggetta a criteri speciali, con l’opzione di imporre tariffe fino a 10€), le tariffe minime da noi rilevate variano da 0,20€ (La Thuile) a 2,50€ (Siena – alta stagione) e le massime da 0,70€ (Caorle) a 5€ in molte grandi città.
4. l’opzione dell’imposta di sbarco per le isole: buona parte delle isole minori, come Capri, Ponza, Elba, Giglio, La Maddalena, le Tremiti e persino le Borromee, hanno scelto di applicare l’imposta di sbarco, mentre nelle isole maggiori (Sicilia e Sardegna) diversi comuni (ad es. Palermo e Alghero) hanno preferito l’imposta di soggiorno
5. i criteri di applicazione: mentre alcuni comuni applicano l’imposta a 360° (ovvero per qualunque soluzione di pernottamento, per ogni individuo, per ogni notte), altri prevedono eccezioni per le strutture ricettive più economiche (ad es. campeggi) o definiscono una tariffa massima in numero di notti (ad es. a Roma si paga la tassa per max. 10 gg. consecutivi; eventuali ulteriori giorni sono esenti); diversi comuni applicano esenzioni o sconti per talune categorie di turisti (bambini, disabili, autisti di autobus,  etc.); in alcuni casi le tariffe variano anche su base stagionale.


 

In merito ai criteri di applicazione, una delle soluzioni più articolate e complesse che abbiamo riscontrato è quella del comune di Venezia, le cui tariffe variano in base a:
• periodo di pernottamento / stagione (l’unico periodo indicato come bassa stagione è il mese di gennaio)
• zona di ubicazione della struttura ricettiva (Venezia centro storico, Isole della Laguna o terra ferma)
• tipologia della struttura (alberghi, strutture extra-alberghiere – B&B, affittacamere, case per ferie, etc. – o strutture all’aperto)
• classificazione della struttura, in base alla categoria e al numero di stelle.

Altro caso particolare nel campione da noi analizzato è quello del Comune di La Thuile, in Valle d’Aosta, che addirittura identifica una tariffa specifica per ciascuna struttura alberghiera.
Il panorama che ne emerge è quello di una babele infinita di gabelle che fanno rimpiangere il sistema fiscale medioevale.



Destinazione dei proventi

In base alla norma che l’ha istituita, l’imposta di soggiorno si configura in realtà come una tassa di scopo, i cui proventi dovrebbero essere destinati “a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali”. Come evidenziato in un rapporto di Federalberghi, tuttavia, il vincolo di destinazioni è così vago da giustificare praticamente qualsiasi spesa.
I dati disponibili a gennaio 2014 indicano che la maggiore quota delle risorse, circa il 25%, è destinata all’attività promozionale locale; il 6% è destinato all’organizzazione di eventi e la parte restante si distribuisce fra altre attività ed altri servizi, inclusi interventi di manutenzione ed accoglienza che hanno per oggetto diretto ed indiretto l’estetica della città ed il miglioramento del contesto ambientale.



 

 

 

 

 

Conclusioni

Da cittadini italiani, già oberati da un sistema fiscale che incombe su ogni nostro movimento e respiro, riteniamo che pagare una gabella medioevale per godere del diritto di visitare monumenti e paesaggi del nostro Bel Paese sia un sopruso, che limita ingiustamente la nostra libertà.
Inoltre, visto che il turismo genera un giro d’affari complessivo di circa 160 miliardi di € (circa 10% del PIL) e occupa 2,6 milioni di addetti incluso l’indotto (11,6% degli occupati a livello nazionale), esso già di per sé produce indirettamente un notevole volume di entrate per gli enti pubblici, alimentando e sostenendo l’economia locale. Applicare una tassa di soggiorno è una manovra suicida, che rischia di far perdere, dissuadendo il turismo, più gettito di quello che genera e che mina la nostra competitività rispetto ad altri Paesi europei ed extra-europei. Non a caso, dal 2012 (anno di entrata in vigore dell’imposta di soggiorno) Federalberghi registra un calo continuo delle presenze, soprattutto di turisti italiani. E’ ovvio, del resto, che – tra la crisi economica, l’inflazione, la disoccupazione, l’aumento dell’IVA etc. – la famiglia media italiana non possa più permettersi di elargire oboli extra anche per una breve vacanza.