VACCINARE O NON VACCINARE?
La verità dietro la coltre di fumo del movimento No-vax

Premessa: questo articolo è il risultato della raccolta e dell’analisi di dati e informazioni da fonti attendibili ed ha il solo scopo di far riflettere il lettore con spirito critico sulla credibilità della propaganda anti-vaccini. L’autore non intende in alcun modo fornire suggerimenti profilattici o terapeutici e non ha alcuna pretesa di sostituirsi al medico di fiducia.

Decidere se vaccinare i propri figli e quali vaccini scegliere è diventato un dilemma per molti genitori, frastornati da comunicazioni contrastanti, tra la propaganda del movimento No-vax e le politiche dello Stato. 
Secondo un recente articolo pubblicato sul Time, a firma di nomi illustri ed autorevoli (Dott. Quick, membro senior dell’organizzazione non-profit Management Sciences for Health, nonché docente presso la Harvard Medical School, e Heidi Larson, direttrice del Vaccine Confidence Project e professoressa di antropologia,  rischio e scienza della decisione presso la London School of Hygiene and Tropical Medicine), l’idea che i vaccini possano provocare l’autismo si basa su un caso eclatante di fraudolenza in ambito scientifico. Nello specifico, tutto ebbe inizio 20 anni fa, quando la prestigiosa rivista medica The Lancet pubblicò un articolo di Andrew Wakefield, gastroenterologo inglese, nel quale egli sosteneva che esistesse un collegamento tra l’autismo e il vaccino trivalente MPR (morbillo, parotite e rosolia). A seguito di studi specifici condotti in Europa e negli USA per verificare tale ipotesi, l’articolo fu poi ritrattato nel 2010 dai co-autori e dalla rivista e Andrew Wakefield fu sottoposto ad inchiesta per cattiva condotta da parte dell’ordine dei medici britannico e quindi radiato dall’albo per truffa e per aver spietatamente ignorato la salute dei bambini; il medico, che aveva alterato e falsificato la storia anamnestica di numerosi pazienti coinvolti nei suoi studi, fu riconosciuto colpevole di una trentina di capi d’accusa, incluso l’abuso di bambini con problemi di sviluppo, sottoposti a procedure mediche invasive al solo scopo di dimostrare le sue ipotesi e trarne un beneficio personale; ma il danno era già fatto e i tassi di vaccinazione erano calati e continuavano a calare sensibilmente. Ci vollero due decenni, 3 morti e 12.000 casi di morbillo in Gran Bretagna, tra cui centinaia con complicazioni gravi e tali da richiedere ricoveri ospedalieri, perché il tasso di vaccinazione riprendesse a salire.
A dispetto delle ritrattazioni e dei dati epidemiologici, il mito proposto da Wakefield continua a resistere e a diffondersi ancora oggi, amplificato e promosso negli anni dai media, da sostenitori tra le celebrità e – in tempi più recenti – da post pubblicati sui social media. Lo stesso Wakefield ha continuato la sua campagna fraudolenta, arrivando a produrne un controverso film (Vaxxed), che intendeva presentare al Tribeca Film Festival (dal quale fu ritirato) e che fu proiettato in numerosi teatri indipendenti in Europa e negli USA. L’abitudine dei millennials di raccogliere informazioni dai social network e da fonti poco attendibili ha poi contribuito ad amplificare la condivisione e la diffusione di dati e ipotesi privi di qualunque base scientifica ed a provocare così un’ostilità totalmente irrazionale verso ogni forma di profilassi.
Come risultato di questa disinformazione dilagante, i casi di morbillo in un anno sono quadruplicati in Europa (da 5.237 nel 2016 a 21.315 nel 2017), provocando la morte di 35 persone nel 2017; in Italia (il 2° paese per diffusione della malattia in Europa, dopo la Romania) si sono registrati 5.006 casi, contro gli 862 del 2016, un aumento del 481%! Anche negli USA, dove il governo aveva dichiarato che il morbillo era stato completamente debellato nel 2000, sono stati riportati 2.216 nuovi casi e si sono verificate gravi situazioni di contagio di massa (in particolare una a Disneyland in California nel 2015 e una nello stato del Minnesota nel 2017).
Con il tempo, l’allarmismo ed il sospetto,  estesi a molti altri vaccini,  hanno provocato un calo preoccupante nella profilassi contro numerose malattie, inclusa l’influenza, che solo negli USA uccide ogni anno da 100 a 300 bambini al di sotto dei 5 anni (l’85% dei quali non vaccinati).
Quello che gli allarmisti non dicono è che ogni anno nel mondo muoiono oltre 2 milioni e mezzo di bambini a causa di malattie che si potrebbero prevenire con i vaccini e che quindi, mentre è infondato il sospetto verso la profilassi, non lo è affatto la preoccupazione per il rischio che il minore non vaccinato rimanga vittima di una malattia grave e potenzialmente mortale. Inoltre, dato che la copertura vaccinale necessaria per interrompere la trasmissione delle malattie è piuttosto elevata (si va dal 70% circa per la varicella al 90- 95% per morbillo, pertosse e parotite), la presenza di una piccola percentuale di soggetti non vaccinati espone la nostra società (ed i bambini in particolare) al rischio di epidemie, con conseguenze potenzialmente molto gravi, inclusa la morte degli individui più deboli.
Le politiche di vaccinazione obbligatoria, del resto, sono utilizzate da decenni per prevenire e debellare malattie ed epidemie e, alla luce dei dati storici, si sono dimostrate molto efficaci in diverse occasioni. A titolo di esempio, si consideri la poliomielite, che può provocare la morte per paralisi della muscolatura respiratoria (5-10% dei casi nei bambini; 15-30% negli adulti): tra il 1939 e il 1962, prima dell’introduzione del vaccino, in Italia si verificavano in media 3.000 casi di poliomielite paralitica ogni anno, con un picco di oltre 8.000 casi nel 1958. Con l’introduzione del vaccino all’inizio degli anni ‘60, l’incidenza si ridusse drasticamente, fino ad azzerarsi dopo il 1982 (ultimo caso rilevato). Allora, perché continuare a vaccinarsi? Perché la malattia è ancora presente in altri Paesi e quindi esiste ancora un rischio di contagio per chiunque viaggi all’estero o sia esposto a contatti con stranieri o con persone che viaggino abitualmente in zone nelle quali la malattia è ancora diffusa. E’ evidente che in un mondo globalizzato, in cui milioni di individui attraversano abitualmente i confini nazionali, con le destinazioni più disparate, la probabilità di un contagio “importato” è tanto elevata da potersi considerare una certezza, a meno che non si mantengano adeguati livelli di copertura vaccinale. A dispetto dei rischi, tuttavia, anche la profilassi anti-polio ha subito un calo negli ultimi anni, scendendo al di sotto del 95% a partire dal 2014.
La storia epidemiologica della difterite è un esempio concreto del rischio collegato alla riduzione della copertura profilattica: grazie alla politica dei vaccini, in Italia la malattia è scomparsa da oltre 20 anni (ultimo caso registrato nel 1996), come del resto è avvenuto in altri Paesi europei. Negli ultimi anni, tuttavia, il calo della copertura in Europa ha già mietuto le prime vittime: un bambino di 6 anni in Spagna nel 2015 ed uno di 3 anni in Belgio nel 2016, entrambi non vaccinati.
Nel frattempo, dalla pubblicazione dell’articolo di Wakefield, la comunità medico-scientifica ha effettuato e pubblicato numerosi studi, in Europa e negli USA in particolare, per valutare eventuali correlazioni tra vaccini ed autismo, concludendo senza alcun dubbio che non esiste alcuna relazione di causa-effetto tra gli uni e l’altro. Anzi, secondo uno studio americano, proprio il vaccino anti-rosolia contenuto nella formulazione trivalente MPR analizzata da Wakefield avrebbe evitato tra il 2001 e il 2010 numerosi casi di disturbo dello spettro autistico associati alla rosolia congenita.
Alla luce dei dati raccolti sino ad oggi, la comunità medico-scientifica concorda sul fatto che le cause dell’autismo debbano decisamente ricercarsi altrove e che l’allarmismo sulla presunta crescita dei casi di autismo sia infondato. Le evidenze scientifiche attualmente disponibili inducono a ritenere infatti che l’autismo sia la conseguenza di un insieme di fattori genetici e/o ambientali, che agirebbero già sullo sviluppo del feto. E’ stata avanzata anche l’ipotesi che tra le possibili cause vi sia il concepimento da parte di genitori anziani (in particolare il padre).
Dunque, anche l’ipotesi che i vaccini abbiano provocato un aumento dei casi di autismo appare totalmente infondata, tanto più se si considera che in realtà i tassi di incidenza della malattia sono rimasti invariati rispetto al 1990, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Psychological Medicine. Alla luce di questi dati, si ritiene che il numero elevato di diagnosi di autismo negli ultimi anni sia da attribuire ad un miglioramento della capacità del personale medico di identificare la malattia, in particolare nelle persone con un autismo più lieve, diagnosticandola già in età precoce.
Al di là della presunta ed immotivata questione autismo, certo non si può negare che la profilassi possa comportare dei rischi, sebbene i prodotti in uso siano sempre più efficaci e sicuri. Del resto, stiamo parlando di preparati farmacologici, che possono avere effetti collaterali indesiderati.
Tuttavia va considerato che, per l’autorizzazione all’immissione in commercio, un vaccino deve possedere alcuni requisiti essenziali, tra i quali l’utilità, l’assenza di contaminanti batterici o micotici o di virus esogeni, la sicurezza dimostrata in animali e nell’uomo, la capacità di stimolare la produzione di anticorpi e l’efficacia protettiva. Come tutti i farmaci, anche i vaccini vengono sottoposti a rigorosi controlli prima della loro immissione in commercio. La loro commercializzazione e diffusione è quindi il risultato di una valutazione di rischi-benefici, nella quale i rischi sono limitati ed accettabili a fronte di un notevole beneficio, che consiste nel preparare l’individuo ad affrontare malattie potenzialmente mortali con un sistema immunitario più efficiente ed adeguatamente preparato al compito di debellarne gli agenti patogeni senza subire danni di rilievo.
Per valutare il rapporto rischi-benefici, prendiamo ad esempio la documentazione relativa ad un comune vaccino esavalente (di cui non si riporta il nome per evitare pubblicità occulta) contro difterite, tetano, pertosse, epatite B, poliomielite e Haemophilus influenzae tipo b (Hib). Consideriamo anzitutto i rischi derivanti da ciascuna malattia e per i quali vi sono prove e certezze scientifiche, nonché abbondanti dati epidemiologici: la difterite può provocare complicanze cardiache (10-25% dei casi) e neurologiche (20%), nonché la morte ( 2-10%); il tetano neonatale è letale nel 95% dei casi non trattati e nel 20-90% dei casi trattati; la pertosse può causare convulsioni (1-3%), complicanze neurologiche (0,1-0,3%) e morte nei bambini al di sotto di un anno di età (0,5%); l’epatite B può evolversi in una cirrosi (5%) o in un carcinoma epatocellulare (5%) e può essere letale (<1% nella forma acuta; 2% in quella cronica); la poliomielite può provocare la meningite asettica (c.ca 1%), evolversi nella malattia paralitica (1%) e provocare la morte del paziente (2-10%); l’Hib può causare disabilità neurologica (15-30%) ed è letale nel 5% dei casi.
A differenza delle conseguenze delle malattie che intende prevenire, il vaccino può provocare effetti collaterali sicuramente spiacevoli (tra questi - a mero titolo esemplificativo - febbre, sonnolenza, inappetenza, nausea e irritabilità, reazioni allergiche) ma tipicamente temporanei e gestibili con un approccio terapeutico adeguato. Va detto inoltre che, in base a quanto riportato sulla documentazione, gli effetti collaterali più gravi sono più frequenti e marcati in soggetti deboli o già predisposti (tipicamente bambini nati molto prematuramente, con malattie al cervello, con problemi di sanguinamento o precedenti episodi di convulsioni) e che lo stesso foglio illustrativo riporta la necessità di consultare un medico prima della somministrazione a soggetti che presentino situazioni di maggiore rischio.
E’ evidente dunque che la somministrazione del vaccino sia considerata un rischio accettabile a fronte dei numerosi benefici che comporta per la salute dell’individuo e per la prevenzione delle epidemie.
Purtroppo la propaganda anti-vaccini ha trovato in Italia un terreno fertile a causa della diffusa carenza di cultura medico-scientifica. In assenza di competenze specifiche, invece di farsi influenzare da fonti poco attendibili, se non addirittura fraudolente, un genitore coscienzioso dovrebbe quindi fare pieno affidamento su personale medico competente (il pediatra o il medico di famiglia in primis), che possa valutare con obiettività le condizioni di salute del bambino e gestire la profilassi nel migliore dei modi, tenendo conto di eventuali allergie o patologie del piccolo paziente.
Per chi volesse approfondire questo tema ed informarsi sui vaccini attualmente in uso in Italia, sui loro rischi e benefici e sulla profilassi consigliata per eventuali viaggi all’estero, si consiglia di fare riferimento al sitowww.vaccinarsi.org realizzato dalla Società Italiana d’Igiene Medicina Preventiva e Sanità Pubblica, con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità e del Ministero della Salute.